Considerazioni su un tavoliere da gioco inciso nella galleria porticata della chiesa di
San Bartolomeo a Caspano di Civo (SO)
(Marisa Uberti)
Grazie alla segnalazione del dr. Francesco Pace, direttore dell’Istituto Archeologico Valtellinese, nel mese di gennaio 2014 abbiamo appreso la notizia della presenza di alcune incisioni tracciate sul parapetto della galleria porticata della chiesa di San Bartolomeo a Caspano di Civo, situato nella bassa Valtellina, in provincia di Sondrio. Prezioso è risultato lo studio pubblicato sul numero 11 del 2013 del Notiziario dell’Istituto Archeologico Valtellinese (pp.43-53), a firma di Giulio Perotti, in cui l’autore descrive la storia dell’edificio, tratta da documenti d’archivio, ponendo particolare risalto al portico meridionale (spesso definito anche come “sagrato”), che affaccia sulla Valle. Ancor più prezioso, ai fini delle nostre considerazioni, è stato il rilievo ortofotografico eseguito dal dr. F. Pace e pubblicato a corredo del citato studio (pp. 52 e 53), in cui è stata riprodotta fedelmente la serie di petroglifi che cospargono le lastre di copertura del parapetto della galleria porticata, che è elegantemente sormontata da sei arcate a tutto sesto poggianti su colonne lisce. In questa analisi prendiamo in considerazione le lastre di scisto corrispondenti alle arcate 3, 4 e 5 poiché presentano degli schemi da gioco di cui ci stiamo occupando da parecchi anni. Sulle lastre delle arcate 3 e 4 possiamo vedere una Triplice Cinta[1] del tipo classico (con i soli segmenti perpendicolari); sulla lastra dell’arcata 5 troviamo due tris[2] e su questa stessa lastra troviamo uno schema che è poco ricorrente da trovare, ai giorni nostri; lo stesso esemplare è inciso anche sulla lastra dell’arcata 3 (a breve distanza dalla Triplice Cinta). Riteniamo quindi opportuno soffermaci su quest’ultimo tavoliere, che non ha un nome preciso ed è formato dallo schema dell’alquerque cui è attaccato, su uno dei lati, un tris che, nel caso dell’arcata 5, è praticamente tangente al tris singolo (che è inoltre di dimensioni visibilmente inferiori dell’altro tris singolo, inciso a breve distanza).
Riproduzione del rilievo da ortofoto del tavoliere in oggetto, inciso sulla lastra della quinta arcata (da F. Pace, cit.)
Secondo il prof. Thierry De Paulis, uno dei massimi studiosi contemporanei di tavolieri, è necessario creare un database separato per questi esemplari, che non sono semplici alquerque. Quest’ultimo è uno schema chiamato genericamente tria multipla poiché, nella sua forma più ricorrente, si presenta costituito da quattro tris allineati a due a due[3]. Esistono anche alquerque costituiti da un numero molto maggiore di tris (sedici o più).
“Alquerque” è un nome derivante da una probabile radice araba “qirq”, che designa un tavoliere a configurazione lineare. I Mori portarono il termine in Spagna ed esso divenne alquerque (in castigliano il quadrato), termine utilizzato nel manoscritto medievale[4] del re Alfonso X il Saggio non soltanto per giochi d’allineamento di tre pedine ma per tutti gli altri giochi disputati sul medesimo tavoliere (v. nota 3).
In base alle regole, vengono identificati tre gruppi principali di giochi:
- quelli di cattura, che prevedono la sottrazione di pezzi all’avversario e la vittoria si ottiene quando sono stati catturati tutti i pezzi dello sfidante oppure quando il pezzo più importante non ha più possibilità di muoversi (in questa categoria includiamo la dama, gli scacchi e l’alquerque).
- quelli di allineamento, i quali prevedono che si mettano in fila tre (o cinque) pedine (come nel tris o nel filetto), per poter cantare vittoria o mangiare una pedina all’avversario.
- quelli di immobilizzazione, i più rari da trovare, in cui vince chi riesce a mettere l’avversario in condizioni di non poter più muovere alcuna pedina.
Oltre a questi raggruppamenti principali è possibile fare una distinzione tra giochi simmetrici (la maggioranza) o asimmetrici. Un gioco è simmetrico quando gli sfidanti partono da un numero identico di pezzi e li spostano con modalità e scopi identici (tipici sono la dama e gli scacchi); un gioco asimmetrico è invece quello in cui i pezzi di un giocatore svolgono il ruolo di prede e si spostano con modalità differenti dai pezzi dell’avversario, che svolgono il ruolo di predatori.
E’ questo il caso dello schema inciso sulle lastre 3 e 5 del “sagrato” della chiesa di S. Bartolomeo. Tale tavoliere è noto in letteratura per il tipo di gioco che vi si disputa: “Il lupo e le pecore”, in cui il predatore (lupo) deve cercare di catturare le dodici prede (pecore) mentre queste ultime, dal canto loro, devono cercare di rinchiudere il lupo nella sua tana (il tris laterale). Tale tavoliere si configura quindi come un gioco asimmetrico a cavallo tra due categorie (gioco di cattura e di immobilizzazione; vedasi C. e L. Gavazzi, op. cit. nella nota 8).
Le pedine vengono disposte secondo il disegno mostrato in figura:
Il giocatore che interpreta il ruolo del predatore (lupo) posiziona la propria pedina al centro della tana (il tris laterale) e si sposta in ogni direzione, con una mossa per volta, lungo le linee. Il giocatore che interpreta il ruolo delle prede (pecore) ha dodici pedine, che posiziona nei punti come da disegno; ne può muovere una alla volta, cercando di non farle mai rimanere isolate, altrimenti il lupo le potrebbe mangiare (togliendo così la pedina corrispondente dal tavoliere). Le pecore, a differenza del lupo, non possono muoversi all’indietro e riescono a vincere la partita se, coprendosi una con l’altra, rinchiudono il lupo nella sua tana, impedendogli qualsiasi mossa. Il lupo vince se mangia tutte le pecore. (Esistono anche delle varianti nelle regole e nelle mosse)
Per giocare… sulla pietra si usavano pedine di materiale vario, e la fantasia popolare ha lasciato spazio alle idee più “creative”, dettate anche dalla necessità di arrangiarsi con quello che c’era a disposizione (pietruzze, fagioli, bottoni, ecc.), importante era che i colori delle pedine fossero differenziati (scuro per il lupo e chiaro per le pecore).
Sarebbe interessante desumere (ad esempio da interviste ai più anziani del luogo) con quale nome veniva designato questo tipo di tavoliere nella Bassa Valtellina. “Il lupo e le pecore” è infatti il nome dello schema trovato inciso sulle Alpi Apuane[5] ma anche altrove. Schemi identici a quello di Caspano di Civo li abbiamo documentati –fino ad oggi- in pochissimi altri posti, che meritano menzione, anche per un raffronto:
- In bassa Val Brembana, nel Museo della Valle di Zogno (BG), su un tavolino ligneo intarsiato con altri due schemi per giochi a pedine (damiera e filetto con diagonali); il manufatto è esposto nella sezione “Osteria”, dove sono presenti –appesi al muro- due tavolieri di legno (filetto e damiera). Tutti questi giochi da tavolo erano molto diffusi localmente alla fine del XIX secolo (a cui datano);
- A Collodi Castello, frazione di Pescia, in provincia di Pistoia (Toscana), dove abbiamo trovato tre esemplari sulle lastre di pavimentazione stradale (uno in piazza della Fontana, di fronte al civico n.3 e altri due lungo il tragitto che dalla stessa piazza conduce in Via Lunga, nella parte inferiore del paese). Le vie di questo paese pullulano di incisioni di filetti, tris, alquerque, oltre a innumerevoli e variegate altre tipologie di petroglifi.
Uno dei tavolieri da noi documentati a Collodi Castello (PT), identico a quelli di Caspano di Civo
Anche sul muretto del sagrato della chiesa di Lizzola (un paesino di trecento anime nel comune di Valbondione nella bergamasca Val Seriana) le testimonianze attestano uno schema analogo a quello di Caspano di Civo; nel dialetto locale il gioco si chiama ol lüf e i pégore, ovvero il gioco “del lupo e delle pecore, ma l’esemplare è scomparso da qualche decennio, perduto durante alcuni lavori, tuttavia è interessante il fatto che su di esso era incisa la data 1715.
Sulla balaustra del Palazzetto Criminale di Genova (cominciato nel 1583 e ultimato nel 1592) si trova un bell’esemplare dello schema in oggetto, insieme a sette filetti, e una probabile scacchiera (tralasciamo le incisioni di altro genere); il contesto appare interessante perché questi graffiti potrebbero avere una data e degli esecutori. La quasi totalità sembra infatti sia stata eseguita nella prima metà del XVII secolo dai componenti della “Guardia di Palazzo” che era formata da soldati di ventura di origine tedesca (supposizione dedotta attraverso i nomi incisi sulle balaustre e il loggiato e pubblicata da Italo Pucci ne “I graffiti del Palazzetto Criminale”, in Atti del Convegno Spazi per la memoria storica, Genova, 2004). L’edificio è adibito, dal 1817, ad Archivio di Stato.
E’ forse solo una coincidenza che soldati teutonici abbiano occupato il complesso chiesastico di San Bartolomeo a Caspano di Civo e che tra le incisioni del sagrato vi sia la data 1632, ma abbiamo ritenuto importante segnalarla.
Gli esemplari fin qui menzionati si trovano tutti in posizione orizzontale. Un esemplare del medesimo tipo in posizione verticale, lo abbiamo trovato nella cella del Castello di Chinon (in Francia). Il blocco su cui è inciso (di reimpiego?) appartiene alla serie ritenuta medievale ed è protetta da un plexiglass[6].
Chiaramente in verticale non è possibile giocare, in tal caso la funzione ludica decade ma bisogna sempre valutare se il blocco sia originale e non di utilizzo secondario, nel qual caso potrebbe aver avuto una ben diversa collocazione, anche orizzontale, ed essere stato inciso quando ancora si trovava in detta posizione, permettendo di giocarvi.
In una casistica così scarna[7], la presenza di due esemplari su uno stesso parapetto, come si presenta il caso del sagrato della chiesa di S. Bartolomeo, fa riflettere.
Il tavoliere inciso nel loggiato esterno alle celle del Palazzetto Criminale di Genova (da I. Pucci, cit.)
·Varianti
Una variante di questo tavoliere è quella che prevede cinque tris disposti in forma di croce, quello che per gli anglosassoni è il celeberrimo “Fox and geese” (il nostrano “La volpe e le oche”), ma conosciuto anche come il gioco de “Le pecore e i lupi” (al plurale, perché su questo tavoliere i lupi sono due e le pecore venti). Del medesimo schema è conosciuta anche la versione per un gioco militare, come ad esempio “L’assalto al castello”.
Ad Ungiasca (frazione di Cossogno), un paesino nascosto tra i monti del verbano, in Piemonte, abbiamo trovato un simile esemplare profondamente inciso sulla lastra di gneiss di copertura del muretto che cinge la piazza don Pagani, dove si trova la chiesa. In questo caso sono state raccolte delle testimonianze[8] di persone che ricordano di averlo sempre visto, di avervi giocato e raccontano che quello è l’ultimo esemplare rimasto, nel paesello. Le lastre vecchie vengono man mano sostituite con quelle nuove e le memorie di antiche tradizioni si disperdono. A Ungiasca il tavoliere veniva appellato come il gioco “dii pévér e dul lùv” (che significa delle pecore e del lupo) e lo consideravano loro esclusività! Nei quattro angoli esterni della “croce” si trovano altrettante coppelle, di dimensione notevole dove venivano riposte le pedine mangiate, I testimoni dicono pure di avervi disputato partite fino al 1985, dunque in tempi abbastanza recenti. Pensare che in pochissimi decenni se ne sta velocemente perdendo il ricordo…
Lo schema parrebbe discendere dall’islandese Halatafl, che impiega un tavoliere in forma di croce costituito da 5 tris, la cui origine sembra sia, a sua volta, un altro gioco nordico chiamato Hnefataf.
Lo schema a cinque tris disposti in croce, inciso su una lastra di copertura del muretto del chiostro dell’ex-convento francescano di Iseo (BS), oggi ospedale cittadino (foto M. Uberti)
·Il caso di Caspano di Civo
Ma torniamo allo schema specifico della chiesa di San Bartolomeo, dove l’esemplare non è in forma di croce. Da dove deriva? Qual è la sua origine? E’ ipotizzabile che fosse diffuso in zona, ma quanto? Esistono altri esemplari simili in Valtellina? Al momento in cui scriviamo, non ne abbiamo altri nel nostro censimento, in tutta la Lombardia (eccettuato un solo esemplare, ma in forma di croce, che abbiamo scoperto recentemente su una lastra del chiostro dell’ex-convento francescano di Iseo, oggi ospedale cittadino). Attendiamo con piacere le vostre segnalazioni..
La presenza dello schema a Caspano di Civo si qualifica dunque come molto importante per la memoria storico-popolare della valle. Sembra che tale tipo di tavoliere sia appannaggio di piccoli paesi montani.
La prassi di incidere parapetti nei chiostri o nei sagrati è stata frequentissima, in passato. La voglia di giocare non ha fermato gli sfidanti nemmeno davanti a tombe, sarcofagi, cimiteri…Anche il sagrato del S. Bartolomeo ha ospitato un cimitero, come scrive il Perotti (art.cit.), ma l’epoca della sua realizzazione è ignota (nonché quella delle sue successive trasformazioni). Il complesso parrocchiale è il risultato di una serie di interventi edilizi attuati a partire dal XIV secolo, epoca in cui –tra parentesi- i tavolieri incisi conobbero un periodo di massima diffusione. Ma nessuno può affermare che i tavolieri appartengano a quel periodo, chiaramente. Si sa che la chiesa venne consacrata nel 1355 (questa è, ad oggi, la più antica testimonianza in merito) ma nel 1352 la parrocchia risultava già indipendente dalla pieve di San Lorenzo di Ardenno.
La forma attuale della chiesa di san Bartolomeo venne assunta agli inizi del XVII secolo; fino al 1606 veniva frequentata sia da cattolici che da protestanti (che erano in perenne lite). Nel 1608 il notaio B. Paravicini Peregrino da Caspano redasse una clausola in cui il cimitero veniva dichiarato di libero accesso e siccome esso era racchiuso dal sagrato o galleria porticata, possiamo dedurre che chiunque potesse accedervi e molte mani avrebbero potuto lasciare le innumerevoli incisioni: iniziali, cifre, sigle, simboli religiosi e profani, nonché i tavolieri da gioco. Pur sembrando irriverente giocare in un luogo sacro come un cimitero, ciò sappiamo che è avvenuto e, anzi, nel caso presente abbiamo un’ulteriore testimonianza estrapolata sempre dalla clausola notarile citata, in cui si autorizzava espressamente l’utilizzo del cimitero-sagrato come luogo di ricreazione per gli uomini di ambedue le religioni (protestante e cattolica), per giocare a palla, escludendo comunque “ogni sorta di giochi e sporcizio”. Un tentativo di correre ai ripari perché il parapetto era già cosparso di incisioni? Una sorta di divieto a farne altre? Non sappiamo a cosa si riferisse esattamente la frase. Durante i funerali, il vescovo Cernuschi (nel 1744) si lamentava degli schiamazzi eccessivi, così come dei pranzi “in occasione de morti o moribondi”. Una pratica che rimandava ad un “paganesimo”, quando si svolgeva il “banchetto rituale” sulla tomba di un defunto.
Nel 1755 si rese necessario chiudere il portico-sagrato, che era diventato “impraticabile e rovinoso”. Un’altra notizia interessante, tra le molte fornite dal Perotti, è la presenza di soldataglia e di truppe teutoniche sia nella chiesa che nella piazza attigua alla stessa e nella casa parrocchiale, durante il ventennio delle cosiddette “Guerre di Valtellina, cui si aggiunse l’epidemia di peste del 1630.
Non è infrequente la connessione tavolieri da gioco-Corpi di Guardia[9] e un’ipotesi potrebbe essere che furono i soldati (forestieri) ad inciderli, come pare sia avvenuto nel caso del Palazzetto Criminale di Genova, ma questo non risolve il dilemma della datazione né della provenienza del “Lupo e le pecore” caspanese. Aggiungeremo pure che per questo singolare tipo di tavoliere manca una cronologia e la casistica disponibile è risibile. Filetto e tris, invece, sono attestati almeno dall’epoca romana e sono estremamente diffusi a livello italiano ed europeo (ma mantengono comunque il loro alone di fascino e mistero che ci spinge a proseguirne lo studio).
Interessanti sono tre date leggibili sotto il portico: 1630/15 MAG (inciso nell’intonaco sopra la porta che introduce al campanile), 1632 (fra le numerose incisioni del parapetto), 1698 (su una lastra pavimentale). Ma nessuna offre un concreto appiglio per la datazione dei tavolieri.
Ultima informazione degna di attenzione è che fino agli anni ’50 del XX secolo le suore dell’asilo infantile conducevano sul sagrato i bambini, per farli giocare, inconsapevoli di calpestare vecchie tombe e consunte ossa. Appare fuori discussione che i fanciulli abbiano potuto eseguire le incisioni, per le quali è richiesta una certa forza manuale e l’uso di strumenti adeguati, ma è più che probabile che conoscessero le regole dei vari giochi incisi, compreso quella del “lupo e le pecore”. Sicuramente sono ancora viventi quei bambini, oggi forse divenuti nonni e nonne, e sarebbe interessante conoscere cos’hanno da dire in proposito.
Riproduzione del rilievo da ortofoto del tavoliere inciso sulla lastra del parapetto della terza arcata del sagrato della chiesa di S. Bartolomeo (da F. Pace, cit.)
(Marisa Uberti)
Note:
[1] Designamo con tale termine un triplice quadrato concentrico che, nella sfera ludica, assume la valenza di gioco a pedine conosciuto con diversi nomi: filetto, mulino, tria, ecc. A titolo esemplificativo, diremo che per gli inglesi è Nine Men’s Morris, per gli spagnoli Alquerque de nueve, per i tedeschi Műhlerbrett, per i francesi Triple Enceinte. Molto usato è anche il termine Merels Board. A seconda dei contesti, delle dimensioni e della posizione, la Triplice Cinta può assumere un valore simbolico (vedasi Uberti, M. “Ludica, Sacra, Magica. Il censimento mondiale della Triplice Cinta”, ilmiolibro, 2012 e Uberti, M.-Coluzzi, G. “I luoghi delle Triplici Cinte in Italia: alla ricerca di un simbolo sacro o di un gioco senza tempo?” (Eremon Edizioni, 2008)
[2] Designamo con tale termine un quadrato ottopartito; tale schema può assumere nomi diversi a seconda delle usanze locali (esempio tria). Per gli inglesi è Three Men’s Morris, o Little Merels, per gli spagnoli è Alquerque de tres o anche Tres en-raya, per i francesi è noto come Petit Merels. Anche il Tris, a seconda delle caratteristiche e del contesto, può assumere un valore simbolico e non ludico (v. testi citati alla nota precedente)
[3] I paesi iberici ne contemplano molti esemplari, chiamati con il termine Alquerque de doce (quadrato di dodici), in cui le pedine giocate sono una dozzina. Filetto e tris vengono chiamati anch’essi “alquerque” con l’aggiunta del numero di pedine impiegate per giocare: così il tris (tres) ne usa tre; il filetto (alquerque de nueve) ne impiega nove.
[4] Libro de los juegos, XIII secolo
[5] Bertelli, G. I giochi detti degli incisi in “Lavoro, giochi e tradizioni di tempi lontani”, Massarosa, 1990
[6] La cella ospitò per alcuni mesi, nel 1308, alti dignitari dell’Ordine Templare e, per tale ragione, è divenuta molto celebre
[7] Per conoscenza si segnala che un particolare tipo di alquerque con due tris laterali (uno a destra e uno a sinistra dello schema) lo abbiamo trovato in un piccolo paese di cavatori di marmo, Colonnata (MS). In Sudamerica (Perù) è stato invece segnalato in più contesti un particolare alquerque provvisto di un triangolo su un lato (a volte due, a destra e a sinistra). Esemplari simili sono stati segnalati in Portogallo (con un solo triangolo laterale), e un solo esemplare in India. Vedasi il censimento mondiale in Uberti, M., op. cit.
[8] Da Fabio Copiatti, nonché da Carlo e Luca Gavazzi, rif, “Giocare sulla pietra. I giochi nelle incisioni rupestri e nei graffiti di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria”, di Gavazzi C. e L. - Quaderni di Cultura Alpina, Priuli & Verlucca Editori, 1997
[9] Uno dei vari esempi è il seguente: sotto il portico del Castello di Issogne (AO) questo connubio è immortalato in un bell’affresco, in cui alcuni soldati, in un momento di riposo, stanno disputando una partita a filetto