"Il lupo e le pecore" nell'ex-convento di S. Francesco a Iseo (BS)

                                                                        (Marisa Uberti)

 

L’attuale ospedale di Iseo, una ridente cittadina posta sulla sponda bresciana del lago omonimo, occupa l’edificio che un tempo fu un convento francescano che sarebbe stato fondato niente meno che da San Francesco d’Assisi, al suo rientro dall’Egitto al tempo delle Crociate. A quell’epoca il luogo (“extra-limina”) era malsano, acquitrinoso e paludoso, per la presenza della foce del torrente Curtelo. Vi sorgeva una piccola casetta che venne donata al santo umbro, insieme al terreno. Egli l’avrebbe trasformata poi in una chiesa, sulla quale a poco a poco si sarebbe impiantato un monastero dedicato a S. Maria degli Angeli o della Madonna Nuova nel quale, sempre secondo una tradizione non confermata storicamente, avrebbe sostato anche Sant’Antonio da Padova. I documenti citano il convento dal XIV secolo, quando Iseo era sotto il dominio della famiglia Oldofredi, proprietaria del castello che ancora oggi esiste.

                

                   In rosso, la localizzazione del terreno sul quale sorgeva il convento (oggi l'Ospedale di Iseo)

 

I monaci, che nel frattempo avevano popolato il cenobio, erano francescani e ad essi era affidata anche l’ufficiatura delle Messe nella chiesetta signorile di S. Maria del Mercato. Le cronache informano che il convento veniva spesso abbandonato, probabilmente a causa dell’insalubrità del luogo; sappiamo che il Comune chiese al doge veneziano Francesco Foscari che i Padri Conventuali venissero sostituiti dagli Osservanti, forse perché spesso malati. Nel 1465 il Generale dei Frati Minori Osservanti francescani Francesco della Rovere (che diventò poi pontefice con il nome di Sisto IV) acconsentì ad inviare i francescani seguaci del portoghese beato Amedeo Mendez de Sylva e chiamati amadeiti. L’arrivo del frate concise con l’intitolazione del monastero a San Francesco ma anche con il fiorire di altri conventi in aree limitrofe, unitamente ad opere di assistenza e beneficenza.

              

                        Su questi sedili sedevano probabilmente i monaci incaricati di vigilare sul transito lacustre

 

                  

Dal chiostro, ci si può immettere direttamente sulla riva del lago, ove troviamo una splendida terrazza sull'acqua. Da qui si ha un'ampia visuale e le imbarcazioni che anticamente volevano passare pare dovessero pagare un obolo ai monaci; nel Medioevo era una prassi frequente. Iseo era un' importante e strategica via di comunicazione (terrestre e idrica); il corso del fiume Oglio, proveniente dalla Valle Camonica, confluisce -allora come oggi-nel Sebino (altro nome del lago d'Iseo)

 

Nel 1510, per ordine del papa Pio V, i frati Conventuali vennero uniti agli Amadeiti e il cenobio iseano venne abbandonato, almeno fino al 1569 data in cui i frati Minori Osservanti tornarono stabilmente ad occuparlo. Ad un certo punto anche la confraternita dei Disciplini si ritrovò a contribuire materialmente nelle opere pie verso i poveri e nel 1631 il cenobio venne adibito a Lazzaretto. Nel 1771 la soppressione veneta riportò il monastero in una situazione di abbandono; gli Osservanti, tornati nel 1783, dovettero definitivamente andarsene all’arrivo di Napoleone, che decretò la soppressione del convento.

 

                                             Immagine del monastero nel XIX secolo

 

Nel XIX secolo si profilò per l’edificio una nuova epoca: rientrato nella lista delle istituzioni della Congregazione di Carità (allora presente in ogni comune), venne adibito a Luogo Pio per il ricovero e la cura di malati indigenti, grazie al contributo di un ricco commerciante proprietario di filande e filatoi, Andrea Bordiga. Il lavoro di filatura della seta aveva infatti provocato l’insorgenza di malattie professionali nuove, per diversi fattori: orari di lavoro estenuanti, condizioni ambientali pessime, esposizione al calore, scarsa illuminazione, inoltre nel 1816 si ebbe un’ epidemia di Tifo petecchiale, nel 1830 quelle di Tifo e pellagra, nel 1836 di Colera. L’ex- convento diventò quindi un luogo di accoglienza sanitaria di emergenza. Nel 1841, dopo un’ opera di ristrutturazione, il complesso venne convertito ufficialmente in ospedale, funzione che riveste ancora oggi. Vi si trovava un’Infermeria (diretta dal Medico Condotto) per maschi e per femmine (separati), vi si trattavano diverse patologie e una sezione fu adibita ad orfanotrofio femminile. Nel 1859, durante le furiose battaglie della III Guerra d’Indipendenza di San Martino-Solferino, molti feriti vennero portati anche qui ad Iseo.

Nuovi lavori edilizi si resero necessari con l’adeguamento delle normative in materia sanitaria e così, tra il 1884-’85, il complesso subì purtroppo una distruzione di alcune antiche vestigia: il campanile quattrocentesco  fu demolito completamente, la chiesa venne accorciata di circa un quarto, privata del pronao e di parte del soffitto ligneo. Ma alcune parti del “vecchio” monastero sono ancora visitabili: dalla parte che affaccia sul lago è ancora ben conservato il chiostro, con lacerti di affreschi del XV, XVI e XVII secolo. L’attuale chiesetta dell’ospedale conserva una parte del soffitto ligneo seicentesco su cui è dipinta una rara scena di San Francesco sul carro di fuoco.

                          

Il dipinto (a destra nella foto) è straordinario e, per quanto ci riguarda, unico, non avendo mai visto prima un' iconografia francescana simile. Come dice la targa a corredo posta nella chiesa dell'ospedale, risale al XVII secolo ed è attribuito al pittore Paolo Giacomo Barucco (Scuola Bresciana). E' stato restaurato nel 1994 su commissione dell'allora U.S.S.L. 36 di Iseo con la supervisione della S.I. per i Beni Artistici e Storici, e il contributo della Banca Ca.ri.plo

 

  • Un tavoliere da gioco inciso nel chiostro

Su una delle lastre che ricoprono il muretto del chiostro, dalla parte sinistra per chi accede dal nosocomio, si trova inciso un non comune esemplare di alquerque disposto in forma di croce. Il tavoliere, noto come gioco a pedine denominato “La volpe e le oche” (in inglese “Fox and geese”) oppure “II lupo e le pecore[1], si presenta chiaramente, seppure in cattivo stato di conservazione: evidenti le “picchiettature”, forse per rimuovere strati precedenti di materiale. Quasi centralmente rimane un residuo di malta (?) color rossiccio (sembra una foglia e sulle prime volevamo toglierla ma ci siamo subito accorti che è…cementata!), mentre sulla lastra stessa si notano piccoli frammenti residui, esfoliazioni dello strato che doveva ricoprirla. Quindi si può ipotizzare che la superficie sulla quale è stato inciso il tavoliere non sia originale, ma conseguente ad una verosimile pulizia del muretto, avvenuta in epoca a noi ignota.

 

     

                                  L'esemplare inciso sulla lastra del lato ovest del chiostro

 

          

                                                    Localizzazione della lastra

      

                                                    Visuale del chiostro dell'ospedale

 

A meno di testimoni che si facciano avanti, infatti, datare questo tavoliere sarà molto difficile e per diverse ragioni, tra cui citiamo soltanto le seguenti:

  • abbiamo un termine sine qua non, che è quello naturalmente della datazione del convento, non prima del XIII-XIV secolo ma l’incisione non pare affatto antica
  • le variegate destinazioni d’uso del complesso (religiosa e profana), nonchè i periodi di abbandono
  • la grandissima quantità di persone che si sono mosse in esso nel corso del tempo, fino ai giorni nostri (ricordiamo che è un ospedale funzionante e l’accesso al chiostro è libero, sia per pazienti che per i visitatori)
  • i grandi lavori di restauro effettuati sia nel XIX che nel XX secolo

Tuttavia, bisognerebbe sapere se questo tipo di schema fosse noto in passato alla gente di Iseo, fattore che ci potrebbe aiutare nell’individuare in una persona del posto l' autore dell'incisione; in caso il tavoliere non fosse stato conosciuto né usato per giocare, è ipotizzabile che qualcuno da fuori lo abbia realizzato. Qualcuno che portava con sé il proprio bagaglio di passioni e abitudini, forse un muratore durante la pausa (magari per insegnare a giocare ad un compagno di lavoro), o forse un ricoverato nell’ospedale (tra le varie tipologie di persone, sono stati accolti qui anche molti soldati feriti). Naturalmente nessuno può affermare, qui ed ora, che l’esemplare non possa essere stato invece inciso quando il chiostro era ancora monastico, dunque entro il 1783 (sappiamo che anche i monaci, nonostante i divieti, amavano giocare; i chiostri di cattedrali, chiese e conventi conservano spesso la memoria di questo ed altri schemi da gioco (filetti, tris, scacchiere,ecc.) che, in taluni casi, possono assumere una valenza simbolica.

I tratti dell’incisione sono abbastanza sottili, dove visibili perlomeno; i cinque tris che compongono lo schema non sono tutti della medesima grandezza, anche se complessivamente è mantenuta la sua regolare struttura; ciò ci indica che non è stato eseguito con perizia ma comunque da chi aveva sicuramente dimestichezza con esso.

E’ da notare una particolarità: forse c’è un sesto tris nello schema o, per meglio dire, forse un tris sovrapposto o antecedente, che ha un piccolo foro nel centro (e che coincide con lo spigolo inferiore sinistro del quadrato centrale della “croce” dello schema). Ciò rende l’incisione un po’ disarmonica.

             

   In verde, demarcazione del "tris" che sembra sovrapporsi allo schema (o viceversa); alcune parti risulterebbero "in comune"

 

Un'altra curiosità è che alla sinistra del petroglifo si trova un possibile "quatre de chiffre", che certamente molti lettori conoscono. Il termine, intraducibile in italiano, è uno dei segni usati dai Compagnons (maestranze edili di matrice francese), che sottende al numero 4, ma la cui valenza è oscura e da ricercarsi in quella gamma di simboli di riconoscimento che i Costruttori usavano per identificare il proprio lavoro e che rappresentava la consorteria di appartenenza o una specifica parola di passo (Massoneria ante-litteram). Potrebbe essere quel simbolo o si tratta di un più prosaico numero 4? De visu è ben visibile la croce, per la verità, non il 4 (palesatosi solo all'ingrandimento). Il segmento diagonale del numero, in effetti, non è chiaramente inciso, ma sembra formato da scalfitture, che forse hanno alterato la croce o potrebbe anche darsi che essa venne incisa successivamente). Altri segni limitrofi risultano poco decifrabili.

 

             

                                                  Un "quattre de chiffre"?

 

Questo tipo di tavoliere è oggi poco frequente da trovare; in passato era più diffuso, specialmente in certe regioni e in certi contesti (soprattutto montani), ma oggi sta scomparendo, insieme alle lastre su cui fu inciso. E’ dunque importante trovarne, per conservare la traccia di una memoria cultural-popolare che si sta perdendo. Nel censimento che abbiamo raccolto nel nostro ultimo libro[2] ne abbiamo inventariati solamente 5 in tutta Italia (questo è il benvenuto, ed è il sesto, per ora); in Lombardia è il primo del genere. Chiaramente è un inventario sempre in divenire[3]. Ecco l’elenco dei luoghi e dei contesti dove questo tipo di esemplare è stato censito:

  • Ungiasca (fraz. di Cossogno, VB), p.zza don Pagani, su lastra di gneiss del muretto delimitante la strada. Con 4 coppelle esterne ai quattro lati
  • Motta D’Aurelio (Val Grande, VB): nella Corte Vanetti  (Curt d’Venètt, in dialetto locale),  inciso su una pietra affissa alla parete di una casera. La località è vicina ad Ungiasca
  • Montorfano (fraz. di Mergozzo, VB), su gradini di un’abitazione privata, nei pressi della chiesa romanica
  • Forgnengo (fraz. di Campiglia Cervo, BI). Sulla cosiddetta “pietra dei tre giochi
  • Venezia. “Fondaco dei Tedeschi” (oggi Palazzo delle Poste), al II piano, su una delle lastre del parapetto del loggiato
  • Ronchi di Caoria (Canal San Bovo, TN): su una tavola di abete, dipinto in azzurro

Come vediamo, quattro esemplari si trovano in Piemonte, in piccolissimi paesini in cui un tempo la tradizione li attesta come giochi a pedine, oggi pressochè dimenticati.

Non molti di più li abbiamo censiti all’estero, e comunque si associano frequentemente ad altri tavolieri come filetti, tris o griglie. 

  • Seine (Île-de-France) : Parigi, Museo di Cluny. Tavoliere del XV-XVI sec.
  • Glouchestershire (Inghilterra): Cattedrale, nel chiostro, sui sedili perimetrali
  • Norfolk (Inghilterra): Norwich Nel castello (XI° sec.)
  • North Yorkshire (Inghilterra): Hutton-le-Role Ryedale Folk Museum. Su una cassa databile al XVI sec. Questo museo possiede ed espone una dozzina di tavolieri con Triplici Cinte e uno con il “Fox and Geese”, datati per la maggior parte al XIX sec.
  • Wiltshire (Inghilterra): Salisbury, Cattedrale. Nel chiostro, sui sedili perimetrali si trovano incisi ben 3 di questi esemplar
  • Wiltshire (Inghilterra): Salisbury, Cattedrale. Su una tomba del XII sec., attribuita a Lord Stourton
  • Budapest (Ungheria): Su una pietra del XVI secolo, conservata al Museo di Buda (Castello di Buda, Budapest Historical Museum). Il reperto è frammentato in più parti

 

  • La valenza come gioco di strategia militare

Lo stesso schema è stato impiegato per un gioco di strategia militare, l'assalto al castello o alla fortezza, di cui abbiamo illustrato alcuni modelli in un altro articolo, dedicato ai giochi in mostra a Palazzo Morando (MI), da noi visitata nel dicembre 2012.

Ecco alcuni esempi:

"Gioco dell'assalto al castello" (25 x 31 cm), incisione in rame colorata su cartone ricoperto di carta decorata. Si osservino, in basso a sinistra, le pedine in legno colorate; due difensori del castello devono fronteggiare 24 assalitori. E' un prodotto fatto in Germania datato al XIX sec. (collezione Alberto Milano). In basso, centralmente, c'è la marca dell'Editore I (albero) A, probabilmente un fabbricante tedesco di Lipsia.

 

Nella bellissima iconografia a lato troviamo ancora il medesimo schema utilizzato per un gioco chiamato "L'Assedio di Mantova", ossia Gioco della Fortezza, sovrapponibile a quello dell'assalto al castello. Nella parte inferiore sono riportate le regole da rispettare e il tabellone ricrea un campo militare, con la presenza di soldati e armi ma le scene di battaglia si riferiscono a quelle realmente accadute all'epoca in cui venne realizzato (Guerra d'Indipendenza). Sotto lo schema si legge bene "Milano, presso l'Editore Lit. P. Bertotti", che pubblicò diversi fogli di giochi, calendari e fogli volanti. E' una litografia (44 x 30 cm), foglio, realizzata tra il 1850-'60 (collezione Alberto Milano). Il primo tris (la fortezza, contornata dalla fortificazione) presenta 9 numeri (dall' 1 al 9), situati ad ogni incrocio. E' un esemplare molto bello, gradevole nella scelta dei colori.

 

  • Una variante

 Il tavoliere in esame è considerato, dagli esperti, una variante di questo schema:

 

             

                   Esemplare inciso su lastra pavimentale a Collodi Castello (PT)

 

In esso vediamo un alquerque che ha, lateralmente, un tris aggiuntivo (in pratica i tris sono cinque, come nello schema disposto "a croce"), che fungeva da "casa del lupo" o della volpe [4]. Anche di questo tavoliere abbiamo censito pochi esemplari.

 

Speriamo che nuovi casi possano giungere alla nostra osservazione, per aggiungerli nel censimento ma soprattutto per conoscere nuovi contesti e nuove memorie, piccoli frammenti di una tradizione dimenticata.

 

Note:

[2] “Ludica, Sacra, Magica. Il censimento mondiale della Triplice Cinta”, Uberti, Marisa (scheda su ilmiolibro, 2012), disponibile anche in economico formato e-Book 

[3] Il censimento, per sua natura dinamico, viene aggiornato su questo sito, sezione “Fox and geese”, Photogallery

[4] Per approfondimento su questo e altri schemi particolari di alquerque si veda il nostro articolo in questo sito

 

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Argomento: Un esemplare a Iseo (BS)

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