La Triplice Cinta e l'inedito Sator del Castello di Locarno
(di Marisa Uberti)
Premessa
In previsione di un incontro tra il nostro Centro Studi Triplice Cinta e l’Associazione “Vivere la Montagna” di Luca Bettosini (Rivera, CH) che si è tenuto sabato 21 giugno 2025[i], mi sono portata in Canton Ticino il giorno precedente, venerdì 20 giugno, al fine di visitare alcuni luoghi cui tenevo da tempo. Tra questi il Castello di Locarno, nato visconteo. Dal momento che sono guida nel castello visconteo di Pagazzano (Bergamo), sono sempre interessata a visitare i manieri legati al ducato di Milano. Anni fa ho potuto vedere i Tre Castelli di Bellinzona e lo straordinario sistema fortificato che li caratterizza. In questo viaggio è stata la volta del Castello locarnese, che consiglio di includere in una vostra visita alla città. Il mio interesse si è focalizzato sui graffiti presenti in molte sale, nelle prigioni e nella loggetta rinascimentale, dove si trovano – tra gli altri- una Triplice Cinta e un inedito Sator/Arepo.
Inquadramento storico - geografico
Locarno è una rinomata località lacustre capoluogo del distretto omonimo. Si trova sul lato sinistro della foce del fiume Maggia e sulle rive del Lago Maggiore. Il territorio fu abitato anticamente ininterrottamente fin dall’Età del Bronzo, del Ferro e in epoca romana. Intorno al VI secolo a.C. una popolazione di stirpe celtica si amalgamò fino a sovrapporsi agli indigeni (verosimilmente di origine ligure); la nuova cultura viene denominata Leponzia e risulta caratterizzata da una scrittura a sé stante che utilizzava un alfabeto nord-etrusco (detto anche di Lugano o più propriamente leponzio). Ma veniamo al Castello, che doveva già esistere in forma di una fortezza prima della conquista viscontea, perché gli annali ci informano che il primo maggio 1340 Luchino e Giovanni Visconti espugnarono il castello, riconducendo tutta la regione sotto la signoria milanese. Fecero costruire imponenti mura di rafforzamento (ancora oggi visibili negli scavi a cielo aperto situati di fronte al castello). In effetti le prime notizie di un fortilizio risalgono all’anno 866, quando l’imperatrice Engelberga ricevette dal marito Ludovico II la “corte regia” di Locarno. Nel 1156 il castello fu distrutto dai milanesi e nel XIII secolo gli Orelli (ramo locarnese della famiglia Da Besozzo) fecero ricostruire il maniero pressoché nella stessa area. Oggi sappiamo che arrivava fino alla motta e al lago. Nel 1439 il duca Filippo Maria Visconti concesse il feudo a Franchino Rusca, capostipite di una casata illustre destinata a reggere le sorti del locarnese per quasi un secolo (1512). A quel tempo tutta l’area era lombarda. Sotto i Rusca la fortezza si trasformò in una residenza signorile, pur mantenendo alcune parti destinate alla difesa, che furono ulteriormente rafforzate. Caduto il ducato di Milano nel 1499 ad opera dei francesi, il pericolo maggiore per i Rusca si palesò nel 1502-1503 quando gli Svizzeri – calati da nord – assediarono il castello. A poco servì l’appoggio ai Rusca del governatore francese, che doveva comunque difendere i possedimenti incamerati dall’ex ducato milanese. Nel 1506-7 fu eretto un rivellino il quale, stando ad alcuni, sarebbe stato progettato da Leonardo da Vinci (a quel tempo alla corte francese). I documenti attestano che in quell’epoca il complesso era diviso in tre fortezze: la “rocha” (poi smantellata), il ricetto (che è l’attuale palazzo principale con corte) e il rivellino (baluardo difensivo tuttora esistente). Nell’ultimo periodo della presenza dei Rusca, il castello assunse un aspetto principesco che colpì più di uno storico dell’’epoca. Dal XVI secolo tuttavia, per una serie di vicissitudini, il castello iniziò una decadenza che portò alla scomparsa di diverse sue parti.
Le trasformazioni del castello
Nel 1516, dopo quattro anni di guerra con i francesi per il controllo del nord-Italia, fu firmato il Trattato di Friburgo che segnò la definitiva annessione alla Confederazione elvetica della pieve di Locarno, che fu trasformata nell’omonimo baliaggio[ii] (dipendenza diretta della Confederazione, che è assimilabile al concetto di “protettorato”). Nel 1531 il castello di Locarno capitolò e subì una parziale distruzione. Restò sostanzialmente in piedi una torre (ancora oggi visitabile) e la residenza signorile, che venne fissata come sede del balivo[iii] dei Cantoni sovrani. In qualità di dipendenza, infatti, la comunità era governata da un balivo di lingua tedesca, ma per l'amministrazione locale veniva mantenuta un'autonomia gestita da un Magnifico Consiglio formato da 21 membri. La forma politica del baliaggio (che era oligarchica e antidemocratica) resse il potere fino al 1798 quando fu scalzata dal’invasione giacobina. Dopo l’istituzione del Cantone Ticino nel 1803, il Castello Visconteo diventò la sede distrettuale delle autorità cantonali e fu adibito a svariate funzioni: (uffici governativi, prigione fino all’inizio del XX secolo e sede scolastica). Nei primi anni del Millenovecento, l’architetto Luca Beltrami stava occupandosi del restauro del Castello Sforzesco di Milano; fu chiamato dall’allora sindaco di Locarno per capire come bisognasse muoversi per recuperare l’antico fortilizio cittadino che, nel 1921, venne acquistato dalla città e nei cinque anni successivi fu oggetto di restauro sotto la direzione di Edoardo Berta.
Il castello oggi
La visita può senz’altro iniziare da Piazza Castello. “Ammirando il Castello Visconteo da Piazza Castello, esso si presenta come un notevole edificio in pietra a cui si accede da una porta dopo aver risalito per gradi il prospiciente prato, dove ancora si vedono antiche murature. Sulla sinistra, a ovest, la murata merlata, la torre rotonda e le murature verso nord denotano la caratteristica fortificata dell’imponente struttura. La torre e le due ali del palazzo sono coperte da un tetto in piode. Sulla destra, verso est, il Castello è delimitato dal palazzo denominato Casorella, così da formare una bella corte interna con loggiato coperto”[iv]. Di fronte alla piazza sono stati lasciati a vista e protetti gli scavi recenti che hanno portato al’individuazione del porto lacustre fortificato visconteo. Il lago arrivava infatti a ridosso del maniero. Abbiamo poi passeggiato tra le parti più antiche del maniero e visto la chiave di volta dell’antico arco di ingresso alla corte che raffigura il Biscione Visconteo (ma non ci è sembrato originale, conoscendo lo stemma appunto tramite il castello visconteo di Pagazzano in cui presto opera).
Della struttura quattrocentesca sopravvive la parte nobile del castello, mentre i corpi più esterni sono il frutto di una ricostruzione eseguita negli anni 1924-1929. Da oltre novant’anni il maniero è sede del Museo Civico e Archeologico di Locarno che conserva – tra gli altri - preziosi vetri di epoca romana, un Lapidarium, un’esposizione di costumi e ceramiche del Settecento. Dalla torre superstite si spazia sulla città e nelle stanze rinascimentali che furono dei signori, si apprezzano notevoli residui di affreschi alle pareti con parecchi stemmi araldici (che ne testimoniano l’antica gloria). Durante il percorso di visita si possono trovare moltissimi graffiti, specialmente nelle zone adibite a prigioni, ma ve ne sono anche altrove e nella sala del Patto di Locarno. Alcuni di essi sono i protagonisti di questo lavoro.
I graffiti, la Triplice Cinta e l’inedito Sator/Arepo
Sebbene l’intera visita mi abbia molto interessato, sono stati in particolar modo i graffiti che hanno attirato la mia attenzione, perché me ne sto occupando anche nel Castello Visconteo di Pagazzano. I graffiti sono solitamente taciuti nei vari manuali o guide, tutt’al più menzionati fuggevolmente e raramente vengono catalogati o mappati[v]. Però, cercando informazioni sui graffiti del castello di Locarno, abbiamo appreso che di questo importantissimo corpus è stato compreso il valore già da Edoardo Berta e dalla Commissione Federale, che ne hanno conservato la gran parte nel restauro compiuto tra il 1922 ed il 1926. Un sintetico ma utile articolo di Chiara Lumia[vi] ci informa inoltre che è stata condotta una specifica analisi sui graffiti della stanza 26 (adibita a prigione) intitolato “I graffiti di una prigione del castello di Locarno – Conoscenza della sala 26”[vii]. Visitando la stanza in questione ci siamo in effetti impressionati e ci torneremo eventualmente con quella pubblicazione alla mano. Tornando in generale ai graffiti del castello, scrive la Lumia: ”Alcuni di questi graffiti, specie dei disegni-dipinti, sono probabilmente da ricondurre al XV ed inizio del XVI secolo. La maggior parte invece risalgono al tempo in cui il castello è sede dei lanfogti e dei loro funzionari (1512-1798); in questi anni i lavori di manutenzione ridotti al minimo hanno fatto sì che le superfici si riempissero progressivamente di graffiti, spesso stratificati gli uni sugli altri”.
L’accesso alla biglietteria avviene da Via Bartolomeo Rusca al civico 5[viii]. Il percorso è lasciato all’autonomia personale; c’è la possibilità di effettuare anche visite guidate ma è data facoltà di visitare da soli il castello, cosa che abbiamo particolarmente apprezzato vista l’esigenza di soffermarci ad analizzare con una certa attenzione alcuni graffiti, come la Triplice Cinta che ci era stata preventivamente segnalata da Francesca Reichlin e Luca Bettosini, due splendidi ricercatori cui è dedicato un report a parte. Sapevamo che la tavola-mulino si trova incisa sulla superficie di una lastra che funge da copertura del parapetto di una loggetta rinascimentale e, trovatala, mi sono recata al piano in cui si trova, stupendomi per i notevoli residui di affreschi presenti lungo la tromba delle scale e nella loggetta stessa. Sulla parete d'accesso è visibile un affresco di scuola lombarda raffigurante una Madonna tra Santi e, in posizione inginocchiata, è riconoscibile un membro di Casa Rusca protetto da Beatrice Casati moglie di Franchino Rusca; la figura sul lato destro è quella di un landfogto ed è stata aggiunta nel 1600.
La Triplice Cinta si vede immediatamente varcato l’accesso sul ballatoio: ci si trova di fronte a quattro eleganti colonnine dal fusto liscio, poggianti su basi quadrate e terminanti con bellissimi capitelli compositi che, nella parte interna, presentano stemmi araldici. Sui capitelli appoggiano le travature lignee del soffitto, che è a cassettoni. La TC è incisa sulla lastra della seconda arcata; è nel modello con diagonali e foro centrale e misura circa 20 x 20 cm. La tecnica esecutiva è discretamente curata; sono stati impiegati strumenti a punta fine rispettando una certa proporzione tra i quadrati indice che fu realizzata per durare nel tempo, non avendo i caratteri di una esecuzione estemporanea fatta da qualcuno di passaggio, insomma. Fu fatta da qualcuno che stazionava nella loggetta e nelle sale attigue a fini molto probabilmente ludici. Non possiamo stabilire né quando né da chi venne incisa tuttavia, come abbiamo visto, nel castello sono state presenti categorie di individui tra le più “papabili” per esserne gli autori (ad esempio i soldati o gli attendenti). Un indizio potrebbe venire dalle belle iscrizioni incise alle basi delle colonnine del loggiato, opera dei balivi di nazionalità tedesca che si succedettero nella carica e che avevano sede proprio nell’ala nobile che era stata dei Rusca a partire dal 1439. Al di là del fatto che possano avere qualcosa a che fare con la tavola-mulino, costituiscono una memoria storica importante e una piccola cronologia dei balivi succedutisi.
Osserviamo la TC incisa: noteremo dei segni sottili a sgraffio nel centro (non sappiamo se contestuali o fatti in altro momento); all’esterno a destra dello schema si notano altri segni e alcune lettere (forse vi era un altro piccolo schema di TC, ormai consunto?); intorno alla tavola si trovano alcune coppelline sparse e una piccola croce. Nel video girato in loco si possono vedere sia la TC che il contesto in cui si trova.
L’inedito Sator/Arepo
Sulla parete alle mie spalle, ovvero la parete sulla quale v è l’ingresso alla loggia salendo le scale, abbiamo documentato un inaspettato quadrato magico del Sator: per il nostro censimento è inedito. L’esemplare è situato in verticale e fu realizzato a carboncino, a mano libera. E’ purtroppo mutilo di consistenti parti, potendosi distinguere soltanto tre parole sulle cinque classiche che formano il noto palindromo e che sono: Sator – Arepo – Tenet – Opera - Rotas (per maggiori approfondimenti sull’argomento rimandiamo alla nostra vasta sezione in cui troverete anche svariati articoli dedicati ai singoli esemplari di volta in volta visitati). Nel castello locarnese si riconosce che il palindromo è in una griglia 5x5 caselle (il classico quadrato magico), ma del quadrato resta veramente poca traccia. Della prima parola (SATOR) e dell’ultima (ROTAS), nulla rimane. La seconda parola, AREPO, non è integra, leggendosi la A, la R, la P e malamente la O, mentre la E è completamente perduta. L’unica parola integra è la terza, TENET (invariabile sia letta da sinistra a destra che viceversa, dall’alto in basso e viceversa) se si eccettua la prima T (abrasa). Della parola OPERA si leggono la O, la P, pochissimo la E, la R e la A. Inequivocabilmente siamo dinnanzi al quadrato magico per eccellenza. Da rilevare che le A e le T sono apicate. La tecnica usata è estemporanea, ovvero l’esemplare non è scolpito, non è inciso né dipinto ad arte, ma risulta tracciato a mano ad altezza d’uomo. Non faceva parte dell’apparato pittorico e decorativo ma fu realizzato successivamente e artigianalmente su una parete che in origine ospitava affreschi e stemmi nobiliari legati alla famiglia dei Rusca. La loggetta elegante fungeva da affaccio sulla corte e raccordava le sale presenti su questo piano con il piano superiore. In seguito alla trasformazione di questa ala rinascimentale in sede del balivo, si succedettero diverse figure nello svolgimento delle loro funzioni, che hanno coperto di intonaco i muri e vi hanno lasciato la memoria della loro presenza attraverso disegni, iscrizioni e simboli. E’ possibile che i tanti graffiti appartengano ad epoche differenti che coprono un lasso di tempo molto lungo. Una iscrizione – che sembra trovarsi sullo stesso strato di intonaco del Sator/Arepo – cita le date 1623-1624 accanto al nome proprio di un personaggio; vicino si legge un altro nome, Hans, scritto con la stessa bella grafia in caratteri maiuscoli. Numerose sono le croci vicine al palindromo, dipinte in rosso o in nero, altri segni malamente decifrabili e residui di lettere verosimilmente tracciate con il carboncino nero come il Sator/Arepo. Sotto di esso, verso destra, si osserva un Fiore della Vita inscritto in un cerchio. Tutti questi elementi sono temporalmente posteriori alla decorazione originale.
Il significato del palindromo nel contesto del castello di Locarno
Difficile esprimere un parere, chiaramente, perché la certezza appartiene ad altri e non a noi. Tuttavia si possono formulare ipotesi sulla base dell’esperienza accumulata.
La presenza del palindromo potrebbe rafforzare l’ipotesi di un intento magico-apotropaico[ix]. Ciascuno dei Sator/Arepo che abbiamo documentato nella nostra esperienza è stato analizzato, contestualizzato e approcciato in modo appropriato, senza arrampicarci sugli specchi (le tesi oggi sfiorano anche l'assurdo). I documenti in cui esso è presente sono importantissimi perché da essi, grazie alla paleografia, possiamo ricavare l'epoca, l'ambito, l'utilizzo e perfino osare un'interpretazione, spesso più o meno esplicitata nel documento stesso. I documenti di epoche diverse fanno capire che fu usato lungo un lasso di tempo lunghissimo e in aree geograficamente distanti. Durante le nostre ricerche abbiamo appurato che gli esempi più antichi avevano come prima parola “Rotas” (prima della cristianizzazione) e ad un certo punto la troviamo come ultima. Può sembrare un dettaglio insignificante ma forse non lo è (v. nostro articolo del 2007). Esemplari come quello di Todi, sebbene su pietra, consentono di capire che fosse accompagnato da formule e invocazioni rivolte a Cristo Re e quelle formule cercavano di scongiurare calamità naturali, tenere lontano il male e propiziare la buona sorte. Riguardando al Sator con questo spirito, forse tutti riusciremmo a vedere ciò che molti ostinatamente continuano ancora a considerare un grande mistero insoluto.
Quello che ci appare più utilmente accostabile all’esemplare locarnese (non fosse altro per la vicinanza geografica) è il Sator/Arepo ritrovato poco più d un decennio fa in un foglietto di preghiere unito agli Statuti e Ordini di Viggiona del 1581 (conservato nell’Archivio Borromeo Isolabella, Comuni, Viggiona). Oggi Viggiona è un comune di 395 abitanti nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte, unito al comune di Trarego nel 1928[x]. Pur non essendone direttamente toccato, è prossimo alle sponde del Lago Maggiore. Di questo Sator/Arepo ce ne diede segnalazione lo studioso Fabio Copiatti, mandandoci un articolo di Fabrizio Pagani e Carlo Alessandro Pisoni, che con le debite autorizzazioni abbiamo pubblicato nel nostro sito[xi] alcuni anni fa. Gli statuti fine-cinquecenteschi del villaggio imponevano ai capifuoco di fornire alla comunità un membro per famiglia al fine di cacciare il lupo (e pure l’orso, nonché similes alias bestias ferinas), quando avvistato o nel caso esso avesse arrecato danni agli armenti; se poi si fosse gridato “al lupo” senza motivo, e dunque ingenerando scompiglio e terrore nel paese, l’incauto sarebbe stato multato pesantemente. Ma quando non bastava la normativa, si ricorreva alle forze celesti, alla protezione divina e così, insieme alle preghiere e alle invocazioni, sul foglietto di Viggiona troviamo anche il quadrato magico del Sator, scritto in caratteri sia latini che greci (mescolati), come si vede nell’immagine. “A quell’epoca” – sostengono Pagani e Pisoni – “era cosa comune portarsi appresso un ulteriore presidio contro la minaccia: un foglietto consistente in una preghiera (non sappiamo quanto riconosciuta e tollerata dalle istituzioni ecclesiastiche), che a tutto si attaccava, pur di risultar efficace. Di qui l’ennesimo impiego del quadrato magico del “Sator”, che, conosciuto da centinaia di anni, trovava applicazione anche a favore di «ciascheduna persona che dubita de’ lupi o vero che fusse morduto da cane rabioso». Ma c’è di più: l’anonimo autore di quel foglietto consigliava di scrivere, su una crosta di pane, le lettere presenti nel quadrato magico in questione, per mantenere e aumentarne l’efficacia («sopra una crosta di pano scriva le litere quali sono nel ditto quadro»). Pagani e Pisoni pensano che ciò servisse per aumentare l’aura di mistero e sacralità dei gesti oltre che delle parole. “Il tutto condito con un po’ di misteriosi e difficili termini, cavati in direttissima dal greco, dal latino, e perfino dall’ebraico: «+ Christus Vincit + Christus Regnat + Christus ab omni malo me defendat + O Theos a furore tuo me liberet + O Adonay + O Thethagramaton». La “ricetta” fornita dall’anonimo compilatore si poteva estendere anche ad altri mali come l’epilessia, che era temutissima perché considerata punizione divina per presunti terribili peccati. Soltanto una ricerca approfondita e incrociata ad altri dati potrà forse un giorno dare maggiori risposte sul Sator/Arepo tracciato sul muro della loggetta del castello di Locarno.
Uno sguardo ad altri Sator
Nella nostra esperienza, abbiamo documentato molti di questi “quadrati magici” in svariati contesti e con diversa disposizione epigrafica, appartenenti a varie epoche (laddove è possibile avere un termine cronologico): esistono esemplari in forma circolare (come quello su mosaico pavimentale medievale nella collegiata di S. Orso ad Aosta, v. articolo; o quello graffito manualmente su un muro scoperto da qualche decennio nel chiostro dell’abbazia di Valvisciolo, comune di Sermoneta, LT (v. nostro video); altri in forma lineare (come quello della Pieve di S. Giovanni a Campiglia Marittima, LI, dove le parole sono disposte su tre righe, v. articolo). Gli esemplari del genere Sator/Arepo eseguiti a carboncino come nel caso del castello di Locarno li abbiamo documentati: nel Castello di Issogne, AO (v. mio report del 2011), nel Castelmareccio di Bolzano (vedi articolo); in entrambi i casi si trovano su pareti verticali e il colore usato è il rosso, inoltre sono stati fatti a mano libera. Un altro esemplare dipinto in colore rosso si trova nella Farmacia della Certosa di Trisulti (comune di Collepardo, FR) ma in questo caso conosciamo l’autore, Filippo Balbi (1806-1890), un pittore chiamato ad affrescare alcuni ambienti della Farmacia e della Certosa (v. nostro articolo del 2010). Dipinto in bianco e molto curato nei dettagli è quello di Torino, in realtà realizzato in forma triplice sul muro di un condominio verosimilmente in epoca abbastanza recente (v. articolo). Diversi sono poi gli esemplari disegnati o dipinti nei manoscritti: l’ultimo in ordine di tempo che ci è stato segnalato si trova in America ma proviene dall’Europa. E’ conservato a Los Angeles negli Stati Uniti, presso il Getty Center (ma disponibile anche online). Il palindromo si trova nella Manly Palmer Collection, che raccoglie manoscritti alchemici dal 1500 al 1825. Per tale motivo risulta tra i Sator più interessanti, trovandosi in un contesto ermetico. La pagina con il palindromo è stata trovata dall'amico e stimato studioso dr. Paolo Galiano. L'ha individuata nel ms 75 (che è compreso nel ms 102, vol. 18) del XVIII sec., opera in parte in tedesco e parte in italiano e latino, con formule magiche, sigilli, diagrammi, ecc. In massima parte si tratta di un insieme di formule magiche per usi "correnti" (per fare buon viaggio, per far innamorare una donna, per cacciare le pulci, ecc.) con molti schemi, diagrammi e "cifre geniali". Probabilmente la pagina fu riscritta da Manly Palmer a inizio XX secolo, messa disordinatamente in forma di volume.
[i] Il report della giornata è alla seguente pagina del Centro Studi Triplice Cinta: https://www.centro-studi-triplice-cinta.com/studi-e-ricerche/italian-articles/alla-scoperta-di-alcune-triplici-cinte-ticinesi-con-lassociazione-vivere-la-montagna/
[ii] La pace di Friburgo (1516) riconobbe agli Svizzeri il possesso di Locarno, divenuto baliaggio comune dei 12 cantoni. Fu però scorporata la Vallemaggia e annesso Brissago (che conservò una certa autonomia), mentre il Gambarogno e la Verzasca formarono comunità separate nell'ambito del baliaggio (fonte: Dizionario storico della Svizzera (DSS), Locarno (pieve, baliaggio, distretto), versione del 18/11/2014)
[iii] Un balivo (detto commissario), nominato a turno da un cantone per due anni, svolgeva funzioni amministrative, militari, giudiziarie e di polizia. Era coadiuvato da un ufficio formato da un cancelliere, un luogotenente, un fiscale procuratore e un notaio del malefizio. L'amministrazione del baliaggio era controllata annualmente dal Sindacato, composto da delegati dei dodici cantoni. Per decisioni importanti il balivo consultava ognuno dei cantoni sovrani o, in caso di urgenza, i cantoni provvisionali (Zurigo, Lucerna, Uri e il suo cantone d'origine). Il tribunale del malefizio era composto dal balivo (dotato di sette voti), da sette giudici (congiudici) eletti dalla comunità (un voto ciascuno) e dall'ufficio (voto consultivo), fonte: Dizionario storico della Svizzera (DSS), Locarno (pieve, baliaggio, distretto), versione del 18/11/2014
[iv] “Contesto Visconteo di Locarno. Analisi e proposte”, AA.VV. Locarno, 2016 (digitalizzato: https://www.locarno.ch/files/documenti/Progettio_CastelloVisconteo.pdf
[v] Abbiamo letto che vengono effettuate visite speciali (al costo di 350 franchi svizzeri a testa) in un tour intitolato “Notte delle streghe al Castello Visconteo di Locarno: tra storie e segreti” dove, durante il percorso, vengono “rivelate le tracce, i disegni, le scritte, lasciati sui muri, ovvero alcune delle importanti testimonianze che raccontano storie di antichi abitanti, dalle nobili famiglie ai misteriosi visitatori o prigionieri” (consultare la pagina ufficiale https://castellolocarno.ch/sito/wp-content/uploads/Notte_streghe_Castello_Visconteo_Locarno.pdf)
[vi] “Graffiti al Castello di Locarno”, Corriere dell’Italianità, digitalizzato: https://www.corriereitalianita.ch/corriere-dellitalianit-9/graffiti-al-castello-di-locarno
[vii] SUPSI-DACD, relatrice C. Lumia, correlatrice M. Caroselli, 2020
[viii] Il sito ufficiale in cui trovare tutte le informazioni di visita è https://castellolocarno.ch/
[ix] Apotropàico agg. [der. del gr. ἀποτρόπαιος «che allontana», der. di ἀποτρέπω «allontanare»] (pl. m. -ci). – Che serve ad allontanare o ad annullare un’influenza maligna: oggetti, atti, animali a.; formule apotropaiche (fonte: Enciclopedia Treccani)
[x] Si sviluppa in parte sulla sinistra idrografica della valle formata dal rio di Cannero e in parte in Val Cannobina e culmina con il monte Spalavera e Vadà (1.814 m).